Mamma li turchi! La storia tormentata di Otranto

Mamma li turchi! Paura e terrore in un modo di dire

 

Era l’estate del lontano 1480 quando la flotta turca comandata dal governatore di Valona Gedik Ahmet Pascià approdò a nord di Otranto, su quel tratto di spiaggia dalla sabbia sottile chiamata oggi Baia dei Turchi, nelle vicinanze dei Laghi Alimini.
Con grande velocità, la notizia si diffuse in tutta la zona, in tempo per permettere alla popolazione di campagna di rifugiarsi nei centri fortificati più vicini, in particolare a Otranto. Arrivati alle porte della città, gli ottomani cercarono una resa pacifica degli abitanti senza armi né lotte, offrendo loro delle condizioni abbastanza favorevoli. Ma gli otrantini, sperando nel celere aiuto di Napoli, attaccarono con frecce e cannonate i turchi che erano stati inviati per la trattativa.
Il governatore di Valona andò su tutte le furie, poiché non poteva comprendere come gli abitanti di Otranto avessero potuto oltraggiare i turchi rifiutando le trattative, che  rappresentavano per loro qualcosa di sacro.

 

L’invasione dei Turchi

 

Così, 15000 uomini invasero Otranto e tra bombardamenti e infuocati lanci di frecce, iniziò una dura e sanguinosa battaglia: la battaglia di Otranto.
Gli otrantini contavano, però, solo su circa 5000 uomini e un ristretto gruppo di mercenari, le armi di cui essi disponevano non erano all’avanguardia, senza contare che il loro sistema difensivo era arretrato. Eppure, nonostante le armi in loro possesso fossero esigue, difesero con tutto il loro impegno la città, ma molti dei loro uomini persero la vita.
Anche gli ottomani assistettero alla caduta di alcuni dei loro soldati, i quali furono atrocemente torturati dagli otrantini, con il preciso intento di dimostrare quanto potessero essere vulnerabili anche gli invasori.

 

Agosto 1480 ad Otranto

 

Il mese di agosto vide la ferocia dei turchi inasprirsi notevolmente: come nel funesto passaggio di un tornado, i soldati saccheggiarono tutte le chiese, distrussero abitazioni, violentarono le donne e le divisero dai loro bambini, uccisero brutalmente gli uomini. Da qui l’espressione Mamma li Turchi, esclamazione di paura e terrore, di fronte ad una minaccia da cui non si trova scampo. Dopo il saccheggio della città, a ottocento degli uomini che erano sopravvissuti (perché feriti o prigionieri) i turchi proposero di convertirsi all’Islam: essi non accettarono, e a causa del loro rifiuto, furono  terrorizzati e uccisi uno dopo l’altro sul Colle della Minerva, dove si trovavano i resti di un vecchio tempio romano. Gli ottocentotredici uomini che persero la vita in nome della religione e dell’amore per la propria città, divennero, purtroppo, i martiri di Otranto, le cui reliquie sono conservate e visibili tutt’oggi nella Cattedrale della città.
Essi furono uccisi tagliando la loro testa posata su una grande pietra, quella ormai conosciuta come “pietra del martirio” e che oggi è conservata all’interno della stessa cattedrale, vicino alle reliquie.

I Martiri di Otranto

 

Si racconta che il primo uomo a essere ucciso fu Antonio Primaldo, il quale fece subito il primo miracolo rimanendo in piedi dopo essere stato decapitato; il suo boia restò sbalordito di fronte a tale visione e chiese di convertirsi al cristianesimo, ma gli altri turchi, udendolo dire ciò, lo uccisero senza ripensamenti.

Il brutale passaggio degli ottomani lasciò distrutto anche il Monastero di San Nicola di Casole (in cui si trovava una delle librerie più importanti di tutta Europa) e l’antica Roca.
Dopo essere riusciti a conquistarla, i turchi fortificarono Otranto e sfruttarono le potenzialità del suo mare. A questo punto però, anche se in ritardo, arrivò da Napoli il re Fernando I d’Aragona, il quale incaricò suo figlio Alfonso d’Aragona di prendere le redini della città.
Così, il 10 settembre 1481, dopo un anno dal primo attacco e numerose altre perdite da entrambe le parti, Otranto poté finalmente essere libera anche dagli ultimi turchi rimasti, i quali, distrutti dalla pestilenza e dalla fame, andarono via, lasciando la città nelle mani degli aragonesi.
Fu grazie a questi ultimi che i corpi dei martiri, rimasti senza degna sepoltura per un anno, poterono avere il giusto onore in ottica cristiana.

L’azione degli aragonesi non si fermava alla città di Otranto ma copriva buona parte del Salento: a Sternatia, ad esempio, si trovava il quartier generale delle truppe comandate da Giulio Antonio Acquaviva.
La tradizione popolare racconta che un giorno, il comandante Acquaviva morì in un’imboscata organizzata nel territorio di Serrano dai turchi, i quali poco prima avevano saccheggiato Soleto e si apprestavano a fare ritorno a Otranto. Il corpo decapitato dell’uomo rimase immobile sulla sella del suo fedele cavallo e lui lo riportò, esanime, al castello di Sternatia.

Oggi la città di Otranto è meta di turisti provenienti da ogni angolo del mondo, ma pur essendosi arricchita di movida e modernità, non ha mai smesso di raccontare, attraverso il mare e il fascino del centro storico, la sua travagliata e antica storia.

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