Quali segreti celano i luoghi poco rinomati? Spesso, rivelano realtà impensabili, tracce di storia e di popoli apparentemente lontani ma che, invece, sono radice della modernità e culla della cultura. Un esempio vivo lo troviamo a Parabita, un comune della provincia di Lecce che conta circa 10.000 abitanti e che dista 12 km da Gallipoli, la cosiddetta “città bella”.
Le veneri del Paleolitico
Nella campagna parabitana, tra il verde e la pietra del vasto parco archeologico sito in zona Monaci, sorge la Grotta delle Veneri, divenuta famosa in tutto il mondo dopo la scoperta avvenuta nel 1965. Quell’ anno, infatti, il prof. Giuseppe Piscopo, insieme ad altri studiosi, scoprì in questo sito, e più precisamente nella grotta, due statuette di piccole dimensioni ma dal grande significato, raffiguranti, ambedue, una donna in stato di gravidanza. La più grande ha un’altezza di 9 cm e una larghezza di 2.1 cm, mentre l’altra risulta più piccola, con i suoi 6,1 cm d’altezza e 1,5 cm di larghezza. Entrambe sono state scolpite nell’ osso, che con molta probabilità era di cavallo adulto.
Il culto della donna nella sua massima espressione
Le Veneri simboleggiano il culto della donna fertile: infatti, queste due statue, oltre ad essere state modellate come il corpo di donna in stato di gravidanza, presentano seni abbondanti e sederi pronunciati, nonostante abbiano, nell’ insieme, figure longilinee. Raffigurano, quindi, il corpo di donna nella sua massima espressione di femminilità, in un canone di bellezza fuori dagli standard odierni, spesso ispirati alle modelle che la TV propone. Alle altre parti del corpo non è stata attribuita particolare importanza, se non alle braccia, che si uniscono dolcemente sotto al ventre, in un tipico atteggiamento che ancora oggi accompagna le gestanti. La posizione delle loro braccia richiama le Veneri rinvenute a Kostienki, in Russia; ma tra tutte quelle che sono state trovate per il mondo, le Veneri di Parabita sono considerate le più artistiche. Oltre all’ indiscusso valore del loro ritrovamento come reperti archeologici, è altrettanto interessante la scoperta del periodo al quale appartengono: il Paleolitico, risalgono, cioè, a circa 20.000 anni fa. Insieme alle Veneri, è stato trovato anche un considerevole numero di reperti, circa 18.000, che ha reso gli storici in grado di ricostruire quella che era la vita preistorica di Parabita, nel periodo in cui l’uomo viveva di caccia e raccolto, incideva pietre ed ossa in una primordiale forma d’arte e viveva in ristrette comunità, composte al massimo da venti elementi. Questi reperti comprendono frammenti di ceramica e pezzi di osso con incisioni geometriche, ma non solo: addirittura due scheletri, un uomo e una donna di Cromagnon, quasi abbracciati e degnamente sepolti, a testimonianza del fatto che la presenza dell’uomo nella zona di Parabita risalga a ben 80.000 anni fa.
La grotta delle Veneri
Le Veneri hanno dato il nome alla grotta, scavata dall’ acqua millennio dopo millennio, dove all’ esterno si è formato un ambiente di riparo e all’ interno un cunicolo a forma di ipotetica T, in cui con probabilità l’uomo paleolitico accendeva il fuoco o si riparava in vista della notte.
Una storia anonima fino a pochi decenni fa, che ha poi portato la nostra Parabita a comparire nei più celebri libri di storia e di arte, conferendo, di rimando, un considerevole prestigio anche al Salento.
Attualmente, le due statuette si trovano al Museo Archeologico Nazionale di Taranto, ma i loro fedeli calchi si possono ammirare al Museo di Maglie e al Museo Sigismondo Castromediano di Lecce.
Oggi il parco archeologico è visitabile e facilmente raggiungibile, anche se all’ entrata della grotta, in via precauzionale, è stata posizionata una grata al fine di renderla inaccessibile.
Una passeggiata all’ aria aperta, in questo affascinate luogo preistorico, ci farà viaggiare con la fantasia, e permetterà al passato di affacciarsi nelle nostre vite, per renderci consapevoli, forse, di ciò che eravamo.