Immerso in un mondo fatto di lettere fluttuanti, di storie, fogli e appunti, Antonio Verri trasformava in versi le immagini che attraversavano la sua anima, in parole fatte di sogni e tormento, acute e dolorosamente precise.
Antonio Leonardo Verri era nato nel 1949 a Caprarica di Lecce, in quel paesino che, pur contando poche anime, aveva ispirato la sua poetica, attraverso le storie di famiglia e le vicissitudini della complicata vita contadina. Dai suoi luoghi natii, infatti, non si era mai totalmente staccato, e mai aveva tralasciato le sue origini contadine, così profondamente radicate nella sua identità di uomo e scrittore. Il suo era un animo nobile, sempre vigile sulle problematiche altrui, traboccante di entusiasmo e carismatico come pochi. Nei suoi scritti riversava la profonda ricerca di sé stesso, la corsa verso un’identità, un conflitto contro le tirannidi della società e del tempo. Questo suo modo di essere gli aveva fatto sfondare le porte letterarie del Salento, in quel periodo a cavallo tra gli anni ’70 e i ’90, un intervallo di tempo economicamente florido ma che vedeva i giovani andar via.
La poetica di Antonio Verri
Il suo rapporto con la poesia era fatto di pura passione: voleva spargerla ovunque, desiderava che tutti fossero inondati di versi e che, a loro volta, sprigionassero parole. Da qui, era nata la sua idea di distribuire il “Quotidiano dei poeti”, un giornale contenente solo poesia e stampato a Maglie: lo distribuiva con le sue mani, con ostinazione ed entusiasmo, alle porte delle abitazioni e alla gente che incontrava per strada; lo aveva fatto con autentico fervore per due settimane, tutti i giorni.
Con il prezioso aiuto dei suoi numerosi amici, la distribuzione del “Quotidiano dei poeti” aveva addirittura superato i confini del territorio salentino, arrivando fino a Bari, Roma, Napoli, Perugia, Milano e altre città, con l’intento di spargere per l’Italia intera l’essenza più profonda della poetica salentina. Il suo manifesto poetico “Fate fogli di poesia, poeti” aveva dato, a decine e decine di aspiranti scrittori, l’ispirazione e il coraggio necessari a dare corpo alle emozioni.
Una figura di spicco, tra ispirazione e poesia
Antonio Verri, un uomo tipicamente salentino nella forza e nell’aspetto fisico, non era solo poeta, ma anche un romanziere del postmodernismo, editore e pubblicista: una figura di spicco, il cui elevato valore poteva sfiorare gli argini della stranezza, se contestualizzato in un ambiente tipicamente provinciale da cui era difficile emergere. La sua ispirazione nasceva dalla profonda analisi dei testi di Pasolini, Calvino, ma anche di Neruda, Quenen e altri scrittori internazionali di cui riusciva a cogliere i pensieri più reconditi per intersecarli ai suoi.
Tra i poeti maledetti salentini
I suoi versi, spesso carichi di dolcezza e disperazione, erano e sono a tratti difficili da interpretare: per farlo è necessario avvicinarsi a quello che era il suo modo di pensare e di essere, senza condizionamenti e compromessi. Per questo motivo, Antonio Verri fa parte dei “poeti maledetti salentini”, chiamati anche “selvaggi salentini”, insieme agli altrettanto grandi Salvatore Toma e Claudia Ruggeri. Tra le sue opere più importanti ricordiamo “Il pane sotto la neve”, “La Betissa” e “La cultura dei Tao”. Era una sera di maggio del ‘93 quando il poeta aveva incontrato la morte. Stava facendo ritorno a casa, a Caprarica, quando un’auto aveva travolto la sua utilitaria ad altissima velocità. Insieme a lui, incastrati fra le lamiere, un regalo per la madre, fogli, appunti e parole mai più espresse.
Gli scritti di Antonio Verri non compaiono canonicamente nella letteratura, ma il frutto della sua poetica pungente è un lascito ereditario ai lettori del mondo. E alla sua amata terra, il Salento, Verri aveva dedicato parole incisive, sicuro che i salentini avrebbero saputo cogliere l’essenza del paesaggio che donava loro nutrimento e calore.
Così scriveva, davanti alla campagna abitata dagli ulivi, ne “La Cultura dei Tao”, immortalando la bellezza del paesaggio nella voce delle sue parole:
“…quello che non cambierà mai sarà l’idea del dialogo con la terra che l’uomo ha stabilito dal tempo dei tempi, il grosso respiro, il sibilo lungo che si può udire solo di mattina, mirando nella vastità dei campi, con accanto sentinelle silenziose gli alberi d’argento.”
Immagine di copertina da www.amoredipuglia.it